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Un’impronta di futuro sulla sabbia

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Ai nostri giorni non fa elegante,per un fintointellettuale come il sottoscritto, parlare di cinematografia pornografica, tantomeno se di genere “all-male”, vale a dire “per soli uomini” proprio nel senso che le fanciulle non sono ammesse né in platea né tantomeno dentro la pellicola.
Ma esattamente quarant’anni fa – nella primavera del 1972 – un film hard core gay ruppe tutti gli equilibri della scena artistica newyorkese, diventando un assoluto must per tutti i maschi e le femmine di alta levatura culturale che volessero darsi un tono da persone “à la page”.

Il luogo comune eterodominante vuole che sia stato “Gola profonda” il primo grande successo destinato a lanciare il vietato-ai-minori come fenomeno di massa, ma la realtà dei fatti è che il celeberrimo film con Linda Lovelace debuttò solo il 12 Giugno 1972, e cioè mentre il vero capostipite del cinema per adulti era già in programmazione da oltre venti settimane.
Il 29 Dicembre del ‘71, infatti, aveva debuttato al 55th Street Playhouse Theater (lo stesso che proiettava le pellicole di Andy Warhol e Paul Morrisey), “Boys in the sand”, vale a dire il primo vero e proprio lungometraggio pornografico omosessuale, firmato da Wakefield Poole, allora stimatissimo ballerino e coreografo di Broadway.

In quel periodo di forte curiosità generale, voglia di esplorare nuovi orizzonti sociali e totale libertà artistica, nessuno si scandalizzò più di tanto; al contrario: si faceva la fila per comprare il biglietto e partecipare a uno degli eventi di cui tutti parlavano.
Fu insomma con quel film (e appunto non con “Deep Throat”, come vorrebbe la leggenda) che l’America inaugurò la breve stagione del porno-chic in cui il sesso a sedici o trentacinque millimetri era considerato arte per intenditori e non squallore per onanisti.
Certo.. viene da sorridere, oggi, vedendo poi come tutto sia degenerato; ma bisogna cercare di immaginare il clima di rivoluzione e libertà che si respirava nell’aria all’inizio degli anni ’70.

Il titolo riecheggiava il celeberrimo film mainstream “The Boys in the Band” (tradotto in italiano come “Festa di compleanno per il caro amico Harold”) amarissima fotografia della realtà omosessuale degli anni ’60, ma Poole si proponeva di presentare un’idea tutta diversa e mai vista prima della vita gay, vale a dire raccontandola come un’esperienza piena di gioia, positività e bellezza.
Abituato a curare i dettagli estetici delle sue mises-en-scene, il regista cercò davvero di confezionare un film d’arte, in cui la visione di sesso esplicito – magari coadiuvata dall’assunzione di una pasticca di LSD – aiutasse gli spettatori a viaggiare all’interno della loro sessualità e dei misteri che essa si porta addosso. E il pubblico del tempo apprezzò moltissimo.

Certo.. rivedere “Boys in the sand” oggi può far sorridere – o annoiare – per le ingenuità e le rozzezze tecniche di cui è imbevuto. Ma a me sembra importante sottolineare come quei ragazzotti – oggi defunti o ottuagenari – spogliandosi davanti alla cinepresa e facendo sesso in spiaggia, abbiano lasciato sulla sabbia, oltre ai loro vestiti, anche l’impronta del primo passo di quello che sarebbe stato il cammino verso il nostro presente di uomini e donne – gay e etero – più sereni e più liberi.


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